Steso nel buio denso da un tempo che ormai ha perso qualsiasi misura. Ore, quante? Giorni? No, giorni no, ore. Devono essere ore, ma quante ore è impossibile dirlo. Qui il tempo non esiste, è un concetto tanto svuotato quanto opprimente. Perso il tempo, perso lo spazio. O quasi. Nel buio concreto ed esteso, nel buio che ha corpo - come di ovatta nera - aprire o chiudere gli occhi non fa nessuna differenza. Il freddo delle piastrelle sotto le spalle, sotto gli avambracci, sotto i glutei ed i polpacci. Freddo. Freddo l'unico contatto con lo spazio e l'estensione. E il battito del mio cuore che in questo silenzio totale, in questa assenza di tutto, mi sussurra che sono vivo.
E ritorno con la mente ad una sera spensierata di universitari. In piazza a bere birra e ridere di niente e bere ancora birra e ridere di più. Era due anni fa, avevo 30 anni ed avevo appena iniziato il mio terzo ed ultimo anno di Dottorato in Lettere Antiche. Meglio tardi che mai.
Quella sera c’era anche Michele, il mio più caro amico. Eravamo stati compagni di banco, di studi e di sbronze per 7 anni all’Università, dopodiché avevamo iniziato a vederci di meno perché lui aveva preso la strada dell’insegnamento ed ogni anno cambiava paesino per stare appresso agli incarichi ed alle supplenze che gli capitavano. Quella sera Michele ci presentò Luisa, la sua ragazza. Luisa, che era del paese in cui aveva insegnato Michele l’anno precedente, aveva appena preso casa in città perché si era stancata di fare la pendolare. E perché voleva divertirsi, diceva. Era al secondo anno di giurisprudenza, aveva appena 21 anni ma un aspetto da donna. Ed era di una bellezza da mozzare il fiato: la figura slanciata avvolta in un vestitino bianco che le cadeva addosso come se fosse sorto dalle sue forme, la carnagione tra l’ambrato ed il dorato, la pelle liscia. I lineamenti del suo viso erano dolci, ma decisi. Gli occhi neri, contornati da una sottilissima linea di matita e da ciglia lunghe, risplendevano di un fuoco affamato. Il naso piccolo ed affilato. Le labbra carnose erano di un colore che si avvicinava al cremisi. I capelli castano scuro, lunghi e lisci, raccolti dietro la testa con delle ciocche sciolte ad incorniciarle il viso. Quando ti guardava aveva uno sguardo talmente intenso e penetrante da mettere quasi in soggezione. Era uno sguardo senza filtri, senza timore. Forse semplicemente uno sguardo che guarda, che guarda veramente, senza la paura di essere guardato.
Passai quella serata a mordermi le labbra, a rimproverarmi ogni volta che il mio sguardo cadeva sulla sua scollatura, su quei seni sodi, generosi. E oh, quel culo. Da svenirci. Il vestitino ci cadeva sopramorbido, ma mal celava la perfezione che doveva esserci sotto. Nell’appoggiarsi il vestitino faceva una fossetta in alto tra i glutei.
È la ragazza di Michele! È la ragazza di Michele!
Ogni volta che la sua pelle sfiorava la mia un brivido percorreva tutto il mio corpo. Ero in uno stato pietoso. Cominciai a farfugliare cose stupide. Sono schifosamente debole, merda! È la ragazza di Michele!
Ma la birra continuava a scorrere, Luisa era meravigliosa e Michele il giorno dopo aveva lezione alle 8 e se ne andò. Poi se ne andarono Luigi, Stefano, Rosa, Roberto e Francesca. Luisa l’avrei accompagnata io a casa in motorino dato che abitavamo nella stessa zona.
Non so quanto tempo rimanemmo in piazza, né ricordo bene di cosa parlammo per tanto tempo. Fatto sta che lo sguardo di Luisa si fece quasi canzonatorio e malizioso. Dovevo traspirare agitazione da tutti i pori e non credo ci volesse il suo istinto femminile per capire. Eppure restava lì, giocava con me forse, dovevo essere abbastanza ridicolo così impacciato com’ero con lei. Quel sorriso nei suoi occhi, cosa voleva dire? Era un buon segno o ero solo una preda da snidare, prendere per la gola, attirare per poi metterla al tappeto senza dover neanche tirare un pugno. O non era niente di tutto questo, era la birra, era la sua voglia di ventunenne di divertirsi in piazza con gli amici, era la birra. Diavolo, perché mi faccio tutte queste pippe mentali mentre ho davanti una ragazzina di 21 anni che mi da lezioni di relazioni pubbliche.
In un modo o nell’altro arrivò il momento di accompagnarla a casa. Sul motorino le sue mani si stringevano sul mio petto e di tanto in tanto un piccolo movimento delle dita sembrava voler carezzare il mio ventre. Il suo viso proprio sopra la mia spalla, così vicini da sfiorarci ad ogni sobbalzo del motorino. Le sue cosce strette attorno al mio sedere. Sentivo i suoi seni pigiati sulla mia schiena e mi pareva di impazzire. Scusa Michele, ma se mi chiede di salire io me la scopo tutta la notte. Scusa amico mio ma sto per esplodere.
Che scemenze, non me lo chiederà mai, perché dovrebbe? E soprattutto, non farei mai una cosa simile a Michele.